Skip to content Skip to footer

Diritto all’oblio e intelligenza artificiale generativa

  1. Una nuova minaccia alla reputazione digitale

Il diritto all’oblio rappresenta una delle più significative conquiste dell’epoca digitale, riconosciuto per la prima volta nel 2014 dalla Corte di giustizia dell’Unione europea. In quella storica sentenza i giudici hanno riconosciuto il diritto di ogni cittadino a chiedere la rimozione dai motori di ricerca di informazioni personali non più attuali o pertinenti, in particolare quando queste possano compromettere la propria reputazione. Da allora, Google ha ricevuto milioni di richieste di deindicizzazione da parte di utenti europei.

Con l’avvento dei chatbot basati su intelligenza artificiale generativa – come ChatGPT, Gemini e Deepseek – questo diritto rischia oggi di perdere efficacia. A differenza dei motori di ricerca, che indicizzano contenuti aggiornabili in tempo reale, i chatbot si basano su modelli linguistici di grandi dimensioni addestrati su grandi quantità di dati testuali disponibili online, spesso risalenti al 2023 o al 2024. Di conseguenza, possono generare risposte fondate su informazioni che, pur essendo state rimosse dal web in un secondo momento, erano presenti nei dati utilizzati per l’addestramento.

Il problema si aggrava ulteriormente se si considera che Google non è l’unica fonte da cui questi modelli attingono: molti chatbot utilizzano anche dati provenienti da altri motori di ricerca, come Bing o Yahoo, i quali spesso non adottano procedure di deindicizzazione comparabili, rendendo ancora più difficile garantire il rispetto del diritto all’oblio.

  1. L’illusione della cancellazione: due casi emblematici

La gravità di questo fenomeno è emersa in modo evidente in alcuni casi pratici. Un imprenditore, assolto da un’accusa di corruzione e beneficiario della deindicizzazione degli articoli che lo riguardavano, ha scoperto che un chatbot continuava a collegare il suo nome alla vicenda giudiziaria.

Stessa sorte per un manager del settore delle infrastrutture pubbliche: nonostante una sentenza assolutoria con formula piena, il suo nominativo veniva ancora associato a un procedimento penale ormai chiuso, come se l’accusa fosse ancora attuale.

  1. Quali strumenti per tutelarsi?

Alcuni fornitori – come OpenAI – hanno messo a disposizione form per l’esercizio dei diritti di rettifica, cancellazione e opposizione previsti dal Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR), la procedura però si presenta complessa e ancora poco nota al pubblico.

In alternativa, gli interessati possono rivolgersi direttamente al Garante per la protezione dei dati personali, che ha già avviato istruttorie e adottato provvedimenti cautelari in materia.

  1. Una tutela da rafforzare nell’era dell’intelligenza artificiale

I casi riportati evidenziano una criticità strutturale: le tecnologie basate sull’IA generativa possono far riemergere informazioni che sono già state deindicizzate dai motori di ricerca o rimosse dalle fonti originarie, rendendo fragile la protezione della reputazione digitale. Sebbene esistano strumenti per esercitare i propri diritti, l’aggiornamento dei modelli non è immediato e l’efficacia delle procedure resta limitata. In questo contesto, il diritto all’oblio rischia di essere svuotato di significato, riportando l’ecosistema digitale a un’epoca pre-2014. Serve quindi una maggiore consapevolezza da parte degli utenti e un intervento costante da parte delle autorità di controllo, affinché le nuove tecnologie non vanifichino le garanzie già acquisite.

 

 

Video correlati

Re-recording e riacquisizione dei diritti sui master fonografici: il caso Taylor Swift

AI Act: applicazione, obblighi e preparazione aziendale al regolamento europeo sull’intelligenza artificiale

Cosa sono i prediction markets e perché è così difficile regolamentarli?