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Re-recording e riacquisizione dei diritti sui master fonografici: il caso Taylor Swift

Taylor Swift non ha soltanto riscritto le regole del pop, ma anche quelle del diritto discografico contemporaneo.
La sua vicenda rappresenta un precedente emblematico su cosa significhi, in termini giuridici e contrattuali, possedere i master e su come un’artista possa riappropriarsi del controllo economico e patrimoniale delle proprie registrazioni fonografiche.

Cosa sono i diritti sui master

Nel linguaggio dell’industria musicale, i master rights (o diritti sui master) rappresentano la proprietà giuridica delle registrazioni originali di un’opera musicale, ovvero le tracce definitive così come vengono incise in studio.
Chi detiene tali diritti decide come e dove le registrazioni vengono sfruttate: pubblicazione, distribuzione (inclusi lo streaming e le piattaforme digitali), sincronizzazioni con opere audiovisive o pubblicitarie, licenze e ristampe. È, di fatto, la forma più diretta di controllo su un fonogramma.
Quando un artista firma un contratto discografico, generalmente cede la titolarità dei master all’etichetta in cambio dell’investimento sostenuto per la produzione, la promozione e la distribuzione del progetto. L’etichetta diventa così proprietaria delle registrazioni fonografiche, potendo decidere autonomamente tempi, modalità e finalità dello sfruttamento economico, oltre a incassarne i relativi proventi (al netto delle royalties spettanti all’artista).

Il caso Taylor Swift: una strategia legale di riappropriazione

I master dei primi sei album di Taylor Swift erano stati ceduti da lei, con pieno consenso, alla sua prima etichetta, Big Machine Records. Nel 2019, però, l’intero catalogo è stato venduto a Ithaca Holdings, società di proprietà del manager Scooter Braun — con cui l’artista intratteneva rapporti tutt’altro che sereni. La vendita, pertanto, includeva tutti i master di Swift di proprietà dell’etichetta, e la cantante non aveva strumenti giuridici per impedirla: quei diritti, legittimamente, non le appartenevano più.
In risposta, Swift ha adottato una nuova strategia: riregistrare integralmente i sei album originari.
Nascono così le Taylor’s Version — nuove registrazioni identiche nella resa sonora, ma di piena proprietà dell’artista, che ne detiene il 100% dei diritti di sfruttamento.

Il patto di non re-recording: una clausola cruciale

Molti contratti discografici contengono la cosiddetta clausola di non re-recording (o patto di non concorrenza), che vieta all’artista di riregistrare i propri brani per un periodo di tempo, solitamente compreso tra i cinque e i sette anni dalla prima pubblicazione.
Nel caso di Taylor Swift, tale vincolo era scaduto o non presente nel contratto originario, consentendole di avviare il progetto in piena conformità legale. Giuridicamente, ogni nuova registrazione costituisce un nuovo fonogramma, con diritti autonomi e nuove royalties, distinte da quelle derivanti dai master originari.
Le Taylor’s Version sono dunque fonogrammi distinti e pienamente tutelati, mentre i vecchi master restano nella disponibilità dei precedenti acquirenti.
La scelta di Swift non è stata solo un gesto simbolico, ma anche una mossa economica vincente.
Il successo commerciale delle Taylor’s Version hanno progressivamente svalutato il valore commerciale dei vecchi master, riportando il negoziato con gli acquirenti su basi negoziali più favorevoli. Nel maggio 2025, dopo anni di trattative, Taylor Swift è riuscita a riacquistare i master originali.

Implicazioni giuridiche e lezioni dal caso Swift

Il caso Taylor Swift evidenzia come il diritto discografico rappresenti oggi un vero e proprio strumento di tutela patrimoniale e di autodeterminazione economica per l’artista.
La titolarità dei master consente, infatti, di esercitare un controllo diretto su buona parte della propria eredità musicale e sulle relative fonti di reddito. Se in passato tale prerogativa era riservata quasi esclusivamente alle case discografiche, l’attuale evoluzione del mercato mostra come artisti sempre più consapevoli — da Taylor Swift a Beyoncé, fino ai musicisti indipendenti — stiano progressivamente ridefinendo gli equilibri contrattuali dell’industria.

D’altra parte, è comprensibile la volontà delle etichette di salvaguardare gli investimenti sostenuti nella fase di produzione e lancio dell’artista. In quest’ottica, le clausole di non concorrenza e di non re-recording costituiscono un legittimo strumento di protezione economica nel breve e medio periodo, volto a evitare la svalutazione dei cataloghi discografici.
Negli ultimi anni, tuttavia, si è osservata una tendenza verso un progressivo irrigidimento di tali clausole, sia in termini di durata sia di ampiezza applicativa, segnale di un mercato sempre più attento alla conservazione del valore patrimoniale dei propri repertori.

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