Skip to content Skip to footer

Fair Use e Intelligenza Artificiale: un confronto tra Stati Uniti, Europa e Asia

1. Introduzione
L’intelligenza artificiale generativa ha trasformato radicalmente il modo in cui vengono prodotti, diffusi e fruiti i contenuti creativi. Uno dei temi più delicati riguarda l’addestramento dei modelli su vasti archivi di opere protette dal diritto d’autore: testi, immagini, musica, video. La questione giuridica è se tale utilizzo possa considerarsi lecito, in assenza di licenze o autorizzazioni preventive.
Negli Stati Uniti il dibattito si concentra sulla dottrina del fair use, strumento elastico che ha già consentito di qualificare come legittime pratiche innovative in passato. L’Unione Europea, al contrario, si muove all’interno di un sistema rigidamente chiuso di eccezioni e limitazioni, che riduce lo spazio per applicazioni creative della norma. Nel mezzo, esperienze asiatiche che offrono soluzioni pragmatiche, in alcuni casi più vicine al modello statunitense.

2. Il fair use come dottrina aperta
Il fair use, previsto dall’articolo 107 del Copyright Act, rappresenta una clausola generale che consente usi non autorizzati di opere protette, qualora siano considerati equi. La sua valutazione si fonda su quattro fattori, che i giudici applicano in maniera flessibile: lo scopo e la natura dell’uso, la natura dell’opera, la quantità e la sostanzialità della parte utilizzata, l’effetto sul mercato di riferimento.
Applicati all’intelligenza artificiale, questi parametri assumono significati particolari. Il primo elemento, lo scopo, ha visto crescere l’importanza del carattere “trasformativo”: i dataset utilizzati per l’IA non mirano a riprodurre le opere originali, ma a estrarne schemi statistici. È questo, ad esempio, l’argomento utilizzato dalle big tech per giustificare il training di modelli linguistici e visivi.
Il secondo fattore, la natura dell’opera, pone interrogativi rilevanti: se le opere creative godono di una tutela più intensa, è evidente che l’uso di romanzi, film o musica per alimentare i modelli presenta un rischio più elevato. Tuttavia, precedenti come Authors Guild v. Google hanno mostrato che anche su materiali fortemente creativi l’uso può essere considerato equo, se finalizzato a scopi ulteriori di conoscenza o ricerca.
Il terzo parametro, la quantità, evidenzia una criticità: il training comporta spesso la riproduzione integrale delle opere. Tradizionalmente, copiare tutto un libro o un’opera musicale sarebbe visto come indizio di violazione. Nel contesto dell’IA, tuttavia, il carattere massivo e non concorrenziale di tale copia attenua il peso di questo criterio.
Infine, l’effetto sul mercato rimane il punto dirimente. Qui il conflitto è evidente: da un lato le aziende tecnologiche sostengono che il training non riduce, anzi accresce, la visibilità delle opere; dall’altro, autori ed editori temono la sostituzione, soprattutto laddove i modelli generativi producano contenuti analoghi agli originali, riducendo la domanda per l’opera autentica.

3. La giurisprudenza statunitense più recente
Negli ultimi anni, la giurisprudenza americana ha iniziato a confrontarsi direttamente con queste problematiche. Nel caso Authors Guild v. OpenAI del gennaio 2025, un giudice federale ha ritenuto che il training di un modello su opere protette possa rientrare nel fair use, a condizione che non abbia effetti concorrenziali né sostitutivi. Similmente, nella controversia Thomson Reuters v. Ross Intelligence, è stata considerata lecita la copia di database legali per finalità di ricerca automatizzata, poiché tale uso era strumentale e non destinato a sostituire i prodotti originari.
È evidente, quindi, che la giurisprudenza americana si muove verso una lettura funzionale del copyright, capace di assorbire le trasformazioni tecnologiche.

4. Esperienze asiatiche: aperture e restrizioni
Al di fuori degli Stati Uniti, il panorama è frammentato. Nelle Filippine, ad esempio, la Corte Suprema ha riconosciuto nel 2025 che un’anteprima di venti secondi di un brano utilizzata come ringback tone promozionale costituisce fair use: un impiego limitato, non lesivo del valore economico e funzionale alla vendita del brano stesso. Si tratta di un orientamento pragmatico, che privilegia l’uso strumentale e non sostitutivo.
Altri ordinamenti asiatici, come Giappone e Corea del Sud, hanno preferito invece un approccio più prudente, introducendo eccezioni specifiche per il text and data mining, ma subordinandole a condizioni restrittive o a sistemi di licenza obbligatoria. Ciò dimostra come il continente asiatico oscilli tra modelli più vicini all’apertura americana e soluzioni più restrittive.

5. L’Unione Europea: un sistema chiuso
Il diritto dell’Unione Europea non conosce il fair use. La disciplina si fonda su un sistema chiuso di eccezioni e limitazioni, codificato dalla Direttiva 2019/790 sul diritto d’autore nel mercato digitale. In particolare, gli articoli 3 e 4 introducono due eccezioni rilevanti per l’IA: la prima riguarda il text and data mining per finalità di ricerca scientifica, destinata a enti di ricerca e istituzioni culturali; la seconda ammette usi industriali e commerciali, ma solo se i titolari non hanno esercitato l’opt-out, ossia una riserva espressa del diritto.
In concreto, la portata dell’articolo 4 è molto ridotta: sempre più editori e titolari di diritti esercitano l’opt-out, escludendo i propri contenuti dall’estrazione di dati. In assenza di una clausola generale, qualsiasi utilizzo non espressamente ricompreso nelle eccezioni rischia di essere qualificato come illecito. Ciò comporta un quadro di forte incertezza per le imprese europee, costrette a ricorrere a licenze contrattuali o a rischiare contenziosi.

6. Conclusioni: due modelli a confronto
Il confronto tra Stati Uniti ed Europa mette in luce due filosofie opposte. Negli USA il fair use si conferma come uno strumento dinamico, capace di adattarsi all’innovazione tecnologica e di assorbire usi non previsti dal legislatore. In Europa, invece, la rigidità del sistema chiuso di eccezioni limita fortemente la possibilità di considerare lecito l’addestramento dei modelli di intelligenza artificiale su opere protette, a meno che non si disponga di un’autorizzazione espressa.
Il risultato è che le grandi aziende tech tendono a considerare il mercato statunitense come il contesto privilegiato per lo sviluppo e la sperimentazione dei modelli, mentre in Europa il rischio giuridico rimane elevato.
Sul piano comparato, esperienze come quella delle Filippine mostrano che è possibile un approccio intermedio, che valorizzi l’uso strumentale e non pregiudizievole delle opere. La sfida, nei prossimi anni, sarà comprendere se il diritto d’autore resterà un presidio statico a tutela dei creatori o se saprà trasformarsi in un meccanismo dinamico di bilanciamento tra protezione e innovazione.

Video correlati

Re-recording e riacquisizione dei diritti sui master fonografici: il caso Taylor Swift

AI Act: applicazione, obblighi e preparazione aziendale al regolamento europeo sull’intelligenza artificiale

Cosa sono i prediction markets e perché è così difficile regolamentarli?