Con le sedute inizialmente fissate a marzo e procrastinate a causa dell’ancora attuale emergenza epidemiologia, il Senato ha esaminato nel corso del mese di ottobre il DDL AS 1721 recante “Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea – legge di delegazione europea 2019”, composto da 20 articoli ed un allegato che contiene ben 33 Direttive europee, tra cui la Direttiva Copyright (Direttiva UE 2019/790 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 aprile 2019 sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale, che modifica le direttive 96/9/CE e 2001/29/CE), la Direttiva sui servizi di media audiovisivi (Direttiva UE 2018/1808) e la Direttiva contenente il “Codice europeo delle comunicazioni elettroniche” (Direttiva UE 2018/1972).
Nell’aula di Palazzo Madama i 134 voti favorevoli, 64 contrari e 31 astenuti hanno deliberato proprio lo scorso 29 ottobre in favore del DDL e del suo fondamentale Articolo 9 proprio inerente al diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale. La Direttiva Copyright prosegue così il suo cursus honorum istituzionale per diventare Legge e passa ora all’esame della Camera, magno cum gaudio non solo di tutti quei titolari di diritti d’autore che chiedono una più forte tutela sui contenuti condivisi digitalmente, ma anche dei giudici nazionali (v. Cass. 9 marzo 2019 n.7708 cui hanno fatto eco le pronunce non definitive del Trib. Roma, 10 gennaio 2019 n. 639 e Trib. Roma, 12 luglio 2019 n. 14757) ed ancor prima europei ( CGUE, 4 giugno 2017 con la causa Stichting Brein contro Ziggo BV e XS4All Internet BV) che hanno riconosciuto la necessità di un potenziamento delle ipotesi di responsabilità digitale a tutela del d’autore sui contenuti caricati e diffusi online.
La prospettiva è quella dell’affermazione del concetto di “accountability”, adottato dal legislatore europeo seguendo una strada già battuta nell’ambito della tutela della privacy. La Direttiva Copyright intende farsi promotrice di quest’ottica di responsabilizzazione, come si evince dal suo Considerando 66): “tenuto conto del fatto che i prestatori di servizi di condivisione di contenuti online danno accesso a contenuti che non sono caricati da loro stessi bensì dai loro utenti, è opportuno prevedere un meccanismo specifico di responsabilità ai fini della presente direttiva per i casi in cui non sia stata concessa alcuna autorizzazione”.
L’ultima formulazione del discusso art. 17 della Direttiva Copyright, prevede infatti che i prestatori di servizi di condivisione di contenuti online a cui non sia stata concessa alcuna autorizzazione da parte del titolare per i contenuti diffusi, sono responsabili per atti non autorizzati di comunicazione al pubblico, compresa la messa a disposizione del pubblico, di opere e altri materiali protetti dal diritto d’autore, a meno che non dimostrino di:
a) “aver compiuto i massimi sforzi per ottenere un’autorizzazione”;
b) “aver compiuto, secondo elevati standard di diligenza professionale di settore, i massimi sforzi per assicurare che non siano disponibili opere e altri materiali specifici per i quali abbiano ricevuto le informazioni pertinenti e necessarie dai titolari dei diritti”; e in ogni caso,
c) “aver agito tempestivamente, dopo aver ricevuto una segnalazione sufficientemente motivata dai titolari dei diritti, per disabilitare l’accesso o rimuovere dai loro siti web le opere o altri materiali oggetto di segnalazione e aver compiuto i massimi sforzi per impedirne il caricamento in futuro conformemente alla lettera b)”.
Massimi sforzi, diligenza professionale e tempestività saranno valutati secondo i criteri di cui al successivo par. 5 art. 17 della Direttiva Copyright, il quale precisa che “per stabilire se il prestatore di servizi si è conformato agli obblighi di cui al paragrafo 4 e alla luce del principio di proporzionalità, sono presi in considerazione, tra gli altri, gli elementi seguenti:
a) la tipologia, il pubblico e la dimensione del servizio e la tipologia di opere o altri materiali caricati dagli utenti del servizio;
b) la disponibilità di strumenti adeguati ed efficaci e il relativo costo per i prestatori di servizio”.
Interessanti sono i due paragrafi successivi dell’art. 17 della Direttiva, che prevedono poi una serie di esenzioni ed eccezioni alla disciplina sopra esposta. In particolare, ex par. 6 art. 17, le piattaforme digitali sorte all’interno dell’Unione da meno di tre anni, e che possiedono un fatturato annuo inferiore a 10 milioni di Euro, calcolati in conformità della raccomandazione 2003/361/CE della Commissione, dovranno sottostare solo alle condizioni di cui al par. 4, lett. a) ed alla “circostanza di aver agito tempestivamente, in seguito alla ricezione di una segnalazione sufficientemente motivata, per disabilitare l’accesso alle opere o ad altri materiali notificati o rimuovere dai loto siti web tali opere o altri materiali”. Se però il numero di utenti mensili che accedono alla piattaforma supera i 5 milioni, calcolati sulla base del precedente anno, quei fornitori di servizi dovranno dimostrare anche di “aver compiuto i massimi sforzi per impedire l’ulteriore caricamento di opere o di altri materiali oggetto della segnalazione per i quali titolari dei diritti abbiano fornito informazioni pertinenti e necessarie”.
La prospettiva auspicata dai promotori della Direttiva è, dunque, verosimilmente, quella di non svantaggiare le start-up e le piccole aziende, indirizzando l’accountability nei confronti dei grandi fornitori di accessi e dei colossi del web.
Il percorso della Direttiva Copyright non è ancora concluso, in quanto ora starà alla Camera dei Deputati il compito di esaminare ed approvare il DDL, ma come di recente dichiarato dal presidente SIAE Mogol: “nel buio della pandemia una luce di speranza per i diritti di tutti gli autori”.
Avv. Lucia Maggi e Dott. Marco Castelletta – 42LF